Vierne Duruflé Organ Works - Francesco Botti - 1 cd Da Vinci Classics

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LOUIS VIERNE • MAURICE DURUFLÉ - ORGAN WORKS

Da Vinci Classics C00589

Organo Domenico Farinati (1899-1900) / F.lli Ruffatti (1966) / Diego Bonato (2007/2014), Abbazia dei Santi Stefano e Giacomo, Isola della Scala, Verona

Due pietre miliari della letteratura organistica francese splendidamente eseguite dal giovane e talentuoso Francesco Botti. Quattro passi nella Parigi di tournant du siècle.


 

a cura di Alberto Pedretti

 

 

È innegabile che la scuola organistica italiana sia cresciuta tecnicamente negli ultimi decenni e, soprattutto in anni recenti, abbia sfornato una vera e propria fucina di giovani talenti, ragazzi e ragazze, in uno strumento obiettivamente atipico e fuori dai circuiti del "facile ascolto". Una volta si studiava organo per ottenere il posto fisso presso una chiesa o basilica ed una cattedra in conservatorio. Oggi l'obiettivo è diverso e dichiarato...questi giovani vogliono fare del concertismo e questa è una carriera perigliosa, piena di ostacoli e sgambetti e richiede, soprattutto, tantissimo studio. Se il livello tecnico lo si ottiene grazie alla predisposizione, all'applicazione ed ai grandi insegnanti ai quali ci si affida, il perfezionamento, che va ben oltre scialbe masterclass di 2-3 giorni che fanno curriculum (anche se guarda caso i nomi citati sono sempre quelli triti e ritriti, superati e non certo i maggiori esponenti dell'arte organistica odierna, ma qui mi taccio... perché potrei elencare i migliori specialisti per ogni singolo autore e, ripeto, non sono quelli che compaiono nella canonica frase da curriculum...), vuol dire trasferirsi all'estero per anni, viaggiando, e studiando coi veri fuoriclasse, ed affidandosi altresì agli specialisti italiani per mesi, se non anni. Non si può più divenire specialisti di un solo repertorio e suonarlo una vita. Il vero concertista deve avere sotto mano il repertorio per strumenti che vanno dal '500 al' 900, Paese per Paese, perché "adattare" la musica allo strumento è la cosa peggiore e da non fare. Ogni strumento chiama il suo repertorio. Nessun tuttologo quindi, ma una conoscenza degli autori da suonare per ogni location. Il concertismo è questo...prendere o lasciare. Chi di concerti ne ha fatti 5000 in carriera come Virgil Fox o 4000 come Dupré, e abbiamo straordinari esempi in Italia di concertisti in attività con oltre 2000 concerti sulle spalle, sa bene che capita in una settimana, se non lo stesso giorno, di affrontare "clienti" del tutto diversi per fonica, acustica e meccanica e persino di doverci suonare senza neanche provare, ma limitandosi a preparare le registrazioni.

 

Leggendo il curriculum di Francesco Botti, classe 2000, Bresciano di nascita e residente a Castenedolo, emergono già nomi estremamente importanti. Laureatosi l’11 Novembre 2021, maxima cum laude, in Organo e Composizione Organistica al corso di Laurea Accademico Triennale presso il Conservatorio di Musica "Luca Marenzio" di Brescia sotto la guda di Giorgio Benati e Giorgio Parolini (scusate se è poco), ha affrontato percorsi di studio con Fausto Caporali (un gigante nel repertorio francese e nell’improvvisazione), Andrea Macinanti e Ton Koopman. Botti si era già distinto per aver eseguito, come registrazione inaugurale sempre per “Da Vinci”, nel 2021, il ciclo de La Nativité di Olivier Messiaen, approfondita proprio sotto la guida di Caporali, sul Mascioni di Pontevico. Personalmente mi ha fatto un enorme piacere, poche settimane fa, sapere che Botti si fosse attualmente dedicato, in occasione dell'apertura della rassegna organistica "Pedàliter", ideata da Fabio Galessi per la nomina del binomio Bergamo-Brescia come città Capitale di arte e cultura 2023, nel concerto d'esordio sull'organo Bossi (1832)/Allieri (1884) della Chiesa Parrocchiale di S. Giorgio, Orio al Serio, al repertorio sinfonico orchestrale italiano, tornato recentemente alla ribalta, con un programma dedicato a Verdi, Bellini, Ponchielli e Puccini. Perché se capita di suonare su Serassi o Lingiardi... hai voglia ad "adattare" repertorio del tutto fuori luogo. Analogamente, per la sua partecipazione alla rassegna À la recherche de l’orgue perdu” del 20/06/2023, Botti ha scelto di eseguire nella Chiesa della Beata Vergine del Suffragio a Trento, autori come Nivers, Piroye e Balbastre. Anche in questo caso il programma si discosta dai nomi più noti del repertorio barocco e tardobarocco francese, tanto caro a chi scrive come anche gli autori appena citati.


 

Due parole sul fatto di eseguire musica francese su strumenti non francesi. Storceranno sicuramente il naso i puristi. Non c'è scuola organistica più legata in modo simbiotico con strumenti di casa propria di quella francese; che si tratti di Clicquot, Don Bedos, Isnard, Leté, Cavaillé-Coll, Merklin, quella francese è forse l'unica scuola che in ogni epoca detta le registrazioni da utilizzare. L'estetica musicale ha influenzato gli organari così come questi ultimi hanno influenzato la prima in maniera indelebile. Pensiamo solo al più grande innovatore di ogni epoca in questo campo, Aristide Cavaillé-Coll (1811-1899). Il suo arrivo a Parigi nel 1933 divenne quasi un segno del destino. Nessun organaro nella storia dello strumento, fatta eccezione per Ernest Martin Skinner (1866-1960) negli Stati Uniti avrebbe improntato e monopolizzato in maniera cosi prepotente l’estetica esecutiva di un’epoca. L’unico vero antagonista in ambito organario per Cavaillé-Coll durante il periodo di attività fu la firma “Daublaine-Callinet” che vantava come direttore tenico l’organista Félix Danjou (1812-1866), titolare di St. Eustache. Dalle pagine del suo periodico musicale “Revue de la musique religeuses, populaire et classique” egli attaccò più volte Cavaillé-Coll per il suo tentativo di imitare le voci orchestrali, implementare il volume sonoro degli strumenti ed introdurre modifiche alla meccanica degli organi, portando l’organo ad allontanarsi dalla sua natura per sposare il gusto secolare. L’organaro, da parte sua, lo ringraziò per aver riassunto im maniera così precisa quelle che erano le sue intenzioni, vale a dire rimuovere “quelle foreste di nazard, quarte, tierce e cornet che infesavano gli strumenti” a favore dei suoi nuovi registri armonici. La presenza di organi sempre più ricchi di sonorità imitative dell’orchestra fece sì che anche l’organista non potesse più accontentarsi del puro accompagnamento liturgico, ma migliorasse il proprio livello tecnico-musicale, accedendo a brani di maggiore difficoltà esecutiva.


 

Va tuttavia considerato che l'estetica di Cavaillé-Coll è andata spegnendosi con l'inizio del '900 e che si è persa via via con gli anni e anche pensare all’era romantica come eslusivamente legata al nome di Cavaillé-Coll sarebbe errato. Primo perché nel diciannovesimo secolo sono due le scuole organarie che fioriscono, quella legata a Franck, Widor e Guilmant e l’altra influenzata da Lemmens. Inoltre il cosiddetto “organo Cavaillé-Coll” si è evoluto nei decenni, per introdurre sempre piu variabilli, che hanno portato in 45 anni di attività al capolavoro massimo di St. Ouen a Rouen. Terzo, anche strumenti costruiti da organari differenti, come il Daublaine-Callinet di St. Eustache, costruito incorporando elementi del Ducrouquet del 1854, che Franck contribuì ad inaugurare. sono da considerarsi innovativi. Molti Merklin, per finire, sono Cavaillé-Coll mascherati e viceversa, al punto che le due firme finirono per fondersi ed incorporarsi. Non per ultime vanno citate le invenzioni di Barker che Cavaillé-Coll inserì sistematicamente nei dispositivi dei suoi tanti capolavori.


 

Se pensiamo agli autori interpretati da Francesco Botti nella presente registrazione, Maurice Duruflé suonò a St. Etienne-du-Mont, uno strumento che risale addirittura al 1633-1636, anni nei quali venne edificato da Pierre Pescheur. Nei secoli si sono susseguiti interventi di François-Henri Clicquot (1777), Aristide Cavaillé-Coll (1863, opus 204/176), Aristide Cavaillé-Coll (1873, opus 418/415), Beuchet-Debierre (1956), Gonzalez (1975), Dergassies (1991). Attualmente lo strumento dispone di 89 registri (83 reali, 6 in derivazione/prolungamento), racchiusi da una delle più belle casse lignee di Francia.


 

Jean Langlais, altro gigante del ‘900 organistico francese amava su tutti gli Aeolian-Skinner e definì quello del Tabernacolo Mormone di Salt Lake il piu bello strumento al mondo, facandivisi accompagne all'inizio di ogni tournée americana per passarvi un giorno in pieno isolamento a tu per tu. Fu sempre lui a completare il disfacimento (purtroppo non si può definirlo altrimenti) del Cavaillé-Coll di César Franck, già iniziato da Tournemire, e portandolo negli anni alla progressiva rovina compiutasi con i titolari Pierre Cogen e Jacquest Taddei. È stato solo grazie all'opera del caro amico Olivier Penin se l'organo di St. Clotilde e tornato alla sua magnificenza.


 

Diverso il discorso per Messiaen, profondamente legato come la sua produzione musicale all’organo de La Trinité, che ha sempre definito - a ragione - uno dei più belli al mondo. Ricordiamo che anche questo Cavaillé-Coll realizzato tra il 1868 ed il 1871, fu elettrificato con significative rivisitazioni del dispositivo ad opera di Mutin (1901), Pleyel-Cavaillé-Coll (1934), Beuchet-Debierre (1965) e Glandaz (1993).


 

Tornando a Duruflé, nonostante le mie 22 o 23 visite a Parigi, vi confermo che la più bella esecuzione dal vivo della Suite Op. 5 resta quella ascoltata da David Cassan a Milano in Duomo; accompagnandolo poi al ristorante al termine del concerto, Cassan mi confessò di non aver mai trovato una fonica ed una acustica che sposasse tanto bene la partitura.

 

Personalmente ho sempre adorato l'esecuzione della musica sinfonica francese, romantica e tardoromantica sugli strumenti nordamericani. La recente integrale delle sinfonie di Vierne interpretate da Eric Plutz, titolare della Princeton University Chapel, dove l'organo fu progettato fonicamente ed inaugurato da Marcel Dupre ne è la dimostrazione, così come quella di Martin Jean sul E.M. Skinner/AEolian-Skinner della Woolsey Hall, Yale University.


 

Infine, senza il fiorire di tutte queste meravigliose registrazioni discografiche di Da Vinci, Brilliant, Elegia, etc..., come sarebbe possibile pubblicizzare e promuovere in Italia ed all’Estero la diffusione dei capolavori dell’organaria italiana?


 

Dopo questo lungo excursus, torniamo al repertorio del CD del quale stiamo parlando.


 

Per la sua seconda uscita per l'etichetta giapponese Da Vinci publishing, sicuramente una delle più attive negli ultimi anni sul mercato organistico, Botti sceglie due veri e propri masterpieces della letteratura tardoromantica francese, tecnicamente impegnativi e, nel caso di Duruflè e della sua Toccata, quasi proibitivi.

 

Louis Vierne (Poitiers 1870 – Parigi 1937) nacque cieco ed a sette anni, in seguito ad una dolorosa operazione, acquistò una minima parte delle facoltà visive, per poi perderle totalmente, in condizioni peggiori, verso i quarant’anni. Superò questa maneomazione con grande forza di volontà, senza però perder ipersensibilità ed ipersuscettibilità, che tante umiliazioni e dispiaceri gli procurarono. Iniziò gli studi musicali presso l’Istituto dei chiechi di Parigi, per poi completarli al Conservatorio di Parigi con Franck (1888) e Widor il quale, nel 1892, lo volle come su supplente a St. Sulpice e nel 1894 nella sua classe d’organo. Cavaillé-Coll, che lo aveva incontrato ed ascoltato parecchie volte in cantoria a St. Sulpice, iniziò ad invitarlo nella sua bottega, dove lo introdusse a Saint-Saëns e Périlhou, allora organisti a La Madeleine e Saint Severin. Nel 1867 ci troviamo di fronte all’inaugurazione del Cavaillé-Coll di Notre-Dame, suonato per la prima volta dal titolare Sergent per la cerimonia del Natale 1867. Nel 1900 Vierne fu nominato titolare della Cattedrale della capitale francese, dove rimase fino alla morte, occorsa alla consolle nel 1937. Dal 1911 insegnò alla Schola Cantorum, dovendosi assentare però dal 1916 al 1920 per operazioni agli occhi, soggiornando in Svizzera. Tra i sui allievi annoveriamo Nadia Boulanger, Joseph Bonnet, Marcel Dupré e, privatamente, Virgil Fox.


 

La serie delle composizioni per organo di Vierne si apre prima della Guerra Mondiale con un Allegretto in si (1894), al quale seguono il Prélude Funèbre (1896), e la Communion senza numero d’opus. Lo stile è, al meno all’inizio, pesantemente influenzato dal melodismo di Franck, Widor e Fauré.


 

Le Sei Sinfonie, meravigliose pagine ben note al pubblico di appassionati ed eseguite e registrate di frequente, furono composte tutte in tonalità minori (re, mi, fa diesis, sol, la, si) tra il 1899 ed il 1930: Symphonie No. 1, Op. 14 (1899), Symphonie No. 2, Op. 20 (1902), No. 3, Op. 28 (1911); No. 4, Op. 32 (1914); No. 5, Op. 47 (1924); No. 6, Op. 59 (1930). Cisascuna venne costruita in quattro movimenti (Allegro, andante, Scherzo, Finale) con qualche variante e con l’aggiunta, in ogni sinfonia, di un tempo supplementare. Solo nella prima compare una Fuga, unica in tutta la sua produzione. Sono opere dell’architettura formale solida, armonicamente ricche. Sotto il magniloquente splendore romantico, “si intravede però”, coem scrive Dufourcq, “un’opera più umana che religiosa, segno di un’anima tormentata, che riflette una esistenza dolorosa”.


 

Definire Vierne un “romantico” è quantomeno un azzardo, come ci insegna Michael Murray nel suo splendido libro “French Masters of the Organ” (Yale University Press, 1998). Si tratta di una definizione usata per Saint-Saëns, Franck, Widor, e Vierne più che altro per l’appartenenza ad un secolo, il diciannovesimo, passato alla storia per il fiorire del “Romanticismo”, esso stesso contenente molte idee tra loro contrastanti e contraddittorie. Il romanticismo è melodico, espressivo, sensuale, sinfonico, indisciplinato, ribelle. Piu che altro il “romantico” è coloui che, in varie discipline, si oppone alle forme classiche, l’atteggiamento perdura opponendosi alle varie forme in corso o, quantomeno, seguendole per pei evolvere. Mentre scrivo queste note, divertendomi, ascolto le Sinfonie 5 e 6 di Vierne eseguite da Fausto Caporali, Eric Plutz e Martin Jean. Pensare di definire un’opera romantica la Sesta Sinfonia, Op. 59 fa sorridere. Altro non è che un trampolino di lancio per l’arte compositiva di Marcel Dupré. Con il 1970 assistiamo poi ad una vera e propria rivolta conto il movimento “romantico”, definito addirittura come corrotto, motivo per cui è meglio vedere saggiamente, come fa Murray, gli anni tra il 1798 ed il 1914 come una fase di transizione che alterna rispetto ad irriverenza verso i grandi maestri riconosciuti, da Palestrina a Bach, da Mozart ad Haydn, da Webern a Beethoven. Già se pensiamo a Vierne come l’autore dell’incantevole Arabesque, che si trova nel secondo libro della raccolta dei Pièces en style libre (1913), come non definirlo precursore dell’Impressionismo...!? Vierne visse nel ventesimo secolo, parlando uno splendido linguaggio musicale del diciannovesimo secolo; visse l’influsso del “Wagnerismo” pure rigettando il culto di Wagner e recepì le idee liberatorie di Debussy. Le sue innovazioni non furono trascurabili. Fu un genio del cromatismo, del sincopato. Usò i colori di Cavaillé-Coll in modo diverso rispetto a Franck e Widor, arricchì i suoi Scherzo aggiungendo mutazioni e ripieni; dopo aver conosciuto gli strumenti britannici ed americani iniziò a prescrivere l’uso del French Horn, dell’Ophicleide e della Vox Angelica. Le sue composizioni sono normalmente impostate sull’uso di soli tre manuali, rispetto ai cinque che aveva a disposizione a Notre-Dame. Il suo tocco era più leggero rispetto a quello di Widor, ci raccontano le testimonianze raccolte da Fleury, lo staccato più pronunciato. Rispetto a come interpretava le sue composizioni, le indicazioni del metronomo sono sempre troppo veloci. Inoltre non variava mai il ritmo durante le esecuzioni, a meno che le partiture lo indicassero espressamente. Il suo animo turbolento ed incostante trovò pace solo con le dimissioni di Widor dal Conservatorio e la sua conseguente nomina, che lo fecero sentire definitivamente parte del “triumvirato” Franck-Widor-Guilmant”. Il suo incarico durò 26 anni, seppur costellato da numerose assenze.


 

La Deuxième Symphonie in E minor di Vierne fu composta quale Op. 20 nel 1902 e rivista con successo l’anno seguente. Il brano valse a Vierne i complimenti persino di Debussy nel suo feuilleton di Gil Blas del 5 Febbraio 1903 (“Monsieur Vierne’s Symphony is truly remarkable; it combines abundant musicianship with the cleverest use of the instrument’s special sonority.”)


 

Per la prima volta nella sua produzione l’autore adotta la forma ciclica. Partendo dai temi dei cinque movimenti (ABCDE), notiamo che i temi di ogni movimento che segue l’Allegro iniziale così come il tema secondario di ciascuno di essi, sono derivati dal tema del primo movimento. L’Allegro si affida ad un tema ritmico (A) e ad uno melodico (B) presentati separatamente e poi combinati tra loro. Il tema del secondo movimento (B), il celeberrimo Choral, è derivato dall’idea (B) del primo movimento e si alterna, senza mai fondersi con il motivo (C) che compare del tutto separatamente due volte. Lo Scherzo si fonda sul tema (D) mentre la seconda idea (E) deriva dal tema (A) dell’Allegro iniziale. Analogamente, nel quatro movimento, il Cantabile, il tema (F) e si contrappone, con colori completamente differenti, al tema (A) iniziale. Il Final si basa su di un tema centrale, che altro non è che quello secondario dello Scherzo, anch’esso contrapposto al tema principale (A) dell’Allegro.


 

L’approccio di Francesco Botti alla Deuxième Symponie in E minor, alterna momenti nei quali emerge una assoluta padronanza tecnica ed un fraseggio impeccabile ad eccessi nell'allargare i tempi, soprattutto nel secondo movimento, il tanto celebrato Choral. Questa tendenza nella scelta di tempi molto lenti, accompagna Francesco da sempre ed è stata da ma vissuta anche in occasione di concerti dal vivo. Penso sinceramente sia meglio quando l'interprete approccia il brano in maniera personale e percepita dalla propria sensibilità. Tuttavia i tempi eccessivamente allargati sono, anche per me una novità ma, devo confessare, in ogni caso comunque gradita. Ad essere sunceri anche Eric Plutz, nella recente integrale delle Sinfonie di Vierne ha dato del Choral un'interpretazione estremamente mistica, con pianissimo addirittura a sfumare al limite dell'udibile. I Francesi sono, generalmente un po' più decisi nell'attacco al pedale, come del resto il nostro Fausto Caporali.

Usciamo dal romanticismo o presunto tale... o forse in ambito organistico sarebbe proprio il caso di uscire dalle etichette prestampate e conoscere un po’ piu a fondo ciò di cui si parla... per passare al secondo brano da concerto proposto da Francesco Botti.


 

Dopo Widor e Vierne, la musica sinfonico organistica passò alle mani più o meno sapienti di Berié, Buordon e Dupré. Al termine della Prima Guerra Mondiale, molti artisti, seppur operando ancora sotto l’influenza di Vierne, tentarono nuove vie. Maurice Duruflé (Louviers 1902 – Parigi 1986), allievo di Tournemire, Guilmant, Vierne e Dukas, all’inizio della carriera fu assistente di Tournemire a St. Clotilde fino al 1927, sostituto di Vierne a Notre-Dame (1921-31) e di Dupré al Conservatorio di Parigi, dove rimase fino al 1970. Studiò organo con Eugene Gigout (Premier Prix nel 1922), armonia con Jean Gallo (Premier Prix, 1924),fuga con Caussade (Premier Prix, 1924) e composizione con Dukas (Premier Prix, 1928), nella cui classe ebbe quali compagni Olivier Messiaen, Jean Alain e Jean Langlais. Nel 1935 Duruflé eseguì la “prima” della Sixieme Symphonie di Vierne a Notre-Dame. Divenne quindi organista a St. Etienne-du-Mont dove rimase fino al 1975 quando, a causa delle gravi ferite riportate in un incidente automobilistico, fu costretto ad una luga convalescenza. Gli succedette la moglie Marie-Madeleine Chevalier, la quale lasciò poi la posizione a Thierry Escaich e Vincent Warnier. La sua musica attinge abbondantemente da Vierne, pur sfociando addirittura nella bitonalità. Seppur assai ridotta, la sua produzione organistia ha decisamente lasciato il segno. Dopo lo Scherzo, Op.2 (1926) ed il Prélude, Adagio e Choral varié sur le thème du Veni Creator, Op. 4 (1930), fecero seguito la Suite, Op. 5 (1932), il Prélude et Fugue sur le nom d’Alain, Op. 7 (1942) dedicato al giovane compositore scomparso in guerra, il Prélude sui l’Introït de l’Epiphanie, Op. 13 (1961) e la Fugue sur le carillon des heures de la Cathedrale de Soissons, Op. 12 (1962). Postumi la Méditation (1964), Lecture, Fugue e Lux aeterna.


 

Dall’incedere lento e misterioso, l’Incipit del Prélude ci proietta, come spesso accade con la musica di Duruflé, in un mondo del tutto surreale, assolutamente a sè stante. Il brano, trovò pubblicazione nel 1934 e venne dedicato a Paul Dukas. Concepito come vero e proprio diptyque, parte con sonorità leggere e tenebrose, per portare ad un climax in organo pleno, simulando quasi una minaccia incombente. Da qui inizia un recitativo che ridona tranquillità e serenità al brano.


 

Le influenze dell’impressionismo di Ravel, Fauré e Debussy sono evidenti soprattutto nella dolcissima Sicilienne centrale, splendidamente eseguita dall’interprete, di una bellezza incantevole, dove tutto viene trasportato in un mondo fatato. Come non Pensare alla Pavane di Fauré…?!

 

La Suite di Duruflè, capolavoro immenso, è eseguita alla perfezione da Francesco Botti, con una tale pulizia da sembrare quasi eccessivamente scolastica nella lettura. La Toccata, dedicata a Pierre Cochereau è uno dei brani più impervi della letteratura organistica, che generazioni di organisti non sono neanche riusciti ad approcciare, ed è suonata magnificamente. L’autore non fu mai soddisfatto di questa pagina, rivedendola in piu occasioni ed arrivando persino a scusarsi con Cochereau, con una lettera commovente, per non essere riuscito a consegnargli la partitura che avrebbe voluto. Nonostante questo la pagina è passata alle cronache come l’apice dell Toccata francese, nonostante molte la precedettero, partendo da quelle di Widor, Gigout, Boellmann e Dubois, e altre sarebbero comparse negli anni successivi. Il brano è concepito in tre parti. Dopo una breve introduzione il tema principale appare al pedale con un incedere che mescola trionfo e minaccia tra le ghirlande eseguite dai manuali. La parte centrale introduce un secondo tema più calmo che fatica ad imporsi e porta poi alla prima di due brusche interruzzioni rappresentate da serie di accordi, dopo i quali, come diceva sempre Virgil Fox che, fece della Toccata di Duruflé un “must” nei suoi concerti e nelle sue registrazioni discografiche, introducendo il brano al pubblico...“state a vedere…perché tutto può accadere”. Botti eccelle soprattutto nell'ultima parte, dopo la seconda interruzione, affrontandola con uno staccato ed un ritardato perfetto, con l'aggiunta delle chamades, in quella che è la classica “Toccata percussiva alla Marcel Dupré”, da lui introdotta e poi utilizzata praticamente da ogni improvvisatore francese negli anni successivi.


 

Virgil Fox, amicissimo dei Duruflé, dai quali era sempre ospitato durante i soggiorni parigini, e che diede la prima americana di tutte le sue opere, suonò la Suite quale preludio alla messa domenicale davanti a Cochereau, in occasione di una delle sue tante visite nella capitale francese. Carlo Curley, trovandosi a fianco di Fox in quell’occasione, racconta che l'esecuzione di Virgil fu talmente bella, da scatenare una valanga di applausi scroscianti. Cochereau, che lo considerava un avversario e non riuscì mai ad amarne la celebrità e la facilità comunicativa, così come il carattere istrionico, improvvisò alla fine della messa una Toccata talmente virtuosistica e complessa, da far girare Fox verso Curley, dicendo "sta suonando con tutto ciò che riesce, tranne i gomiti...".


Lo strumento scelto per la registrazione è il Farinati (1900) / Ruffatti (1966) / Bonato (2007/2014) racchiuso nell’Abbazia di S. Stefano e S. Giacomo, nell’Isola della Scala, Verona, dotato di 46 registri disposti su tre manuali, e 4 divsioni. L’Eco corale aperto è infatti racchiuso nel dispositivo del Grand’Organo come sezione separata di tre registri.


 

Il suono solenne e maestoso dell'organo risuona in Abbazia da oltre cinque secoli, infatti i documenti ne attestano la presenza già nei primi decenni del '500. Il primo riferimento certo sullo strumento lo troviamo nei verbali del 10 Maggio 1532, in cui viene nominato un organaro, tale Giovanni Maria Porticella, intento a costruire l’organo già dal 1530. Pochi anni più tardi, verso la metà del XVI secolo, nel primo volume del Libro dei Battezzati della parrocchia (1529-1571), nelle ultime pagine, insolitamente, vi è un inventario dei beni ecclesiastici e degli arredi sacri della parrocchiale, in cui è indicato, con tanto di data, “Un organo novo facto 1534”. Si presume quindi che questo sia l’anno d’inaugurazione del nuovo strumento; nei registri della Fabbriceria del 1535 sono presenti i pagamenti fatti all’organista, che aveva l’incarico di suonare “le feste principali e le feste d’Apostoli e tutte le Domeniche del Mese”. Dell'antico strumento cinquecentesco non è rimasto più nulla ma queste testimonianze ci aiutano a capire meglio l'importanza e la cura riservate allo svolgimento delle funzioni liturgiche nella tradizione isolana.


 

L’attuale strumento si colloca su di una serie di interventi avvenuti nel Settecento e nell'Ottocento. Dopo la costruzione della nuova parrocchiale (1578-1619) l'organo fu posto, pare nel 1776, sopra la porta nord con la realizzazione di una cantoria. Nel 1899 venne modificato; nell'archivio parrocchiale è conservato il progetto dell'organaro Domenico Farinati. Un ulteriore intervento di restauro ed ampliamento venne realizzato negli anni 1932-6, trasportando il Grand'organo ed il Positivo aperto dalla parete nord in fondo all'abside. L'organo assume la struttura definitiva ad opera della ditta Fratelli Ruffatti e viene inaugurato il 29 giugno del 1967. Questo ultimo intervento di ampliamento divise l'organo in due corpi sonori separati: il Grand'Organo in fondo all'abside dietro l'imponente cassa con il riquadro raffigurante il martirio di S. Stefano, il Recitativo Espressivo ed il Corale nel transetto di destra in un locale attiguo all'altare del Crocefisso.


 

La difficoltà di suonare assieme i diversi manuali a causa delle differenze di temperatura che si creavano tra le varie casse coi cambi di stagione, oggi facilmente risolvibile con il condizionamento delle stesse, ma soprattutto il cattivo stato dovuto al naturale deperimento dello strumento, portarono alla decisione, ormai improrogabile, di provvedere ad un completo restauro dello stesso. Restauro ed ampliamento sono stati realizzati dall'organaro Diego Bonato, tenendo conto dell'impostazione fonica data allo strumento dai precedenti organari. Le canne sono passate da 1381 a 2295. L'organo è stato inaugurato sabato 29 settembre 2007 dal Maestro Roberto Bonetto organista titolare dell'Abbazia. Quello di Francesco Botti è il quarto CD musicale realizzato sullo strumento.


 

Le poche ance, 11 in tutto, e la mancanza di 32’ full-lenght lo mandano, come presumibile, un po’ in affanno soprattutto nella partitura di Vierne, pensando che le Sei Sinfonie, così come la maggior parte della produzione del Vierne fu concepita ed ispirata dai colori del Cavaillé-Coll di Notre-Dame, uno degli strumenti più potenti al mondo. Purtroppo in Italia il problema della mancanza di registri ad ancia di 32’ di intonazione aperta e, possibilmente, alta pressione di intonazione è un problema ancestrale, non guarito negli anni, in quanto i registri non vengono aggiunti ai dispositivi durante i lavori di restauro o ampliamento, vuoi per spazio o per discutibile scelta, e – se presenti – sono spesso soffocati all’inteno delle casse, risultando profondi, ma mai sufficientemente potenti. L’uso di quelli digitali, come ripiego, è visto come fumo negli occhi, a dimostrazione dell’incapacità ad accettare compromessi in favore di “purezza” che, in uno strumento nato per essere lo specchio dei tempi e destinato a sovrapposizioni e rimaneggiamenti, viene invece considerato intoccabile quando l’elettronica è ormai dominante in tutti gli aspetti della vita di oggi.


 

Buona la presa del suono dell'esperto tecnico ed ingegnere del suono Federico Savio, veterano nell'arte della registrazione di organi italiani di ogni epoca e scuola. Savio aveva già registrato la Deuxieme Symphonie, Op. 20 di Vierne nel 2015 con Fausto Caporali in occasione del l'integrale delle Sei Sinfonie per l'etichetta Fugatto. In quell'occasione era stato scelto lo strumento di S.Anasatasia a Villasanta, sempre opera di Diego Bonato, su progetto fonico di Paolo Oreni e successivamente rivisto, su indicazioni del compianto Jean Guillou, alla cui estetica sonora è ispirato, in alcune caratteristiche dall'organaro Klais di Bonn. Personalmente considero quello di Villasanta uno dei dieci organi da concerto più belli in Italia, con i suoi 91 registri, disposti su quattro tastiere e pedaliera per un totale di oltre 5000 canne, alla cui consolle è collegato elettronicamente anche l'organo Balbiani Vegezzi-Bossi, che ne costituisce la sezione Corale espressivo. In quel caso l'acustica era più generosa e "cavernosa", e l'impostazione francese del dispositivo più marcata. Tuttavia, la scelta dello strumento dell’Abbazia dei Santi Stefano e Giacomo, Isola della Scala, Verona, non è nell’insieme disprezzabile ed è sempre difficile che uno strumento sul quale hanno messo le mani i piu grandi organari in circolazione, i nostri F.lli Ruffatti, sia deludente.


 

Qui mi taccio, nella speranza di non avervi annoiati.


 

A conclusione di questa bella carrellata, torno ad esprimere tutto il mio apprezzamento ed il mio incoraggiamento a Francesco Botti affinché prosegua senza scoraggiarsi sulla brillante strada intrapresa.


 

 

Copertina c.d. o libro: