LA MUSICA SACRA. Estetica e storia dal Canto gregoriano a Palestrina

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Autore: Michele Bosio Musicologo

Sezione Libri e riviste

Uscito per i tipi di Zecchini nel maggio 2021

Un libro di Michele Bosio

Italia
 

 

Michele Bosio

 

LA MUSICA SACRA. Estetica e storia dal Canto gregoriano a Palestrina

 

Prefazione di don Gilberto Sessantini

 

pp. XII + 202 

formato cm. 17x24 

Euro 29,00

 

Zecchini Editore

 

 

«È vero che ho messo la musica religiosa al di sopra della musica liturgica stessa. […] La musica liturgica è esclusivamente dipendente dal culto, invece la musica religiosa ha raggiunto tutti i tempi, tutti i luoghi, toccando tanto il materiale quanto lo spirituale e infine è riuscita a trovare Dio in tutto. La musica liturgica celebra Dio all'interno della propria chiesa, dentro il proprio culto sacrificale. La musica religiosa si scopre in qualsiasi momento e ovunque sul nostro pianeta Terra, sulle nostre montagne, nei nostri oceani, tra uccelli, i fiori, gli alberi, e anche nel universo visibile fatto di stelle che splendono intorno a noi.» [Olivier Messiaen, conferenza sulla musica sacra tenuta il 4 dicembre 1977 presso la cattedrale di Notre-Dame a Parigi]

 

 

Cercare di descrivere cosa sia realmente la musica sacra è un compito assai arduo: infatti nell’accingersi a definire il terreno da indagare non ci si trova davanti ad un genere o ad una forma in particolare (quali potrebbero essere la Sinfonia, il Concerto, la Messa, l’Oratorio), ma a tutto ciò che non è profano.

È parso utile, quindi, circoscrivere l’argomento a ciò che per un certo periodo -grossomodo dal Concilio di Trento (1545-1563) sino a quello Vaticano II (1959-1965) -pareva chiaro si intendesse con musica sacra nel mondo cattolico. 

Si è cercato di privilegiare l’estetica musicale che ha portato alla formazione di repertori precipui, avallati dai sigilli apostolici di alcuni grandi pontefici (Giovanni XXII, Benedetto XIV, Pio X…).

Il compasso cronologico esaminato copre all’incirca tredici secoli di storia (partendo dal XXI secolo, passando per i secoli VIII-XIX, e ritornando al XX secolo).

Desiderando dissipare “l’alone stantìo di sacrestia”, che molto spesso viene associato alla musica ecclesiastica, si è posta attenzione all’aggiornamento musicologico riguardante alcuni particolari aspetti del repertorio musicale (la teoria modale, la figura di Guido D’Arezzo, la trattatistica inerente alla polifonia delle origini, l’interpretazione del documento apostolico trecentesco «Docta sanctorum patrum», etc.).

In appendice al volume vengono forniti i testi integrali dei due più significativi documenti apostolici sulla musica sacra apparsi nel secolo scorso: il Motu proprio «Inter pastoralis officii sollicitudines» del sommo pontefice Pio X sulla Musica Sacra (22 novembre 1903) e la Costituzione sulla sacra liturgia «Sacrosanctum Concilium» (4 dicembre 1963): capitolo VI, la Musica Sacra. 

 

Indice

 

Prefazione di don Gilberto Sessantini

 

Premessa

 

Cap. I – La musica sacra: considerazioni per una definizione terminologica

Cap. II – La massima espressione della musica sacra: il Canto gregoriano

Cap. III – L’amplificazione del gregoriano: la musica sacra polifonica

Cap. IV – Storia e mito attorno alla musica sacra di Palestrina

Cap. V – Storiografia ed estetica musica della musica sacra

Cap. VI – Uno sguardo ad alcuni studi sulla musica sacra apparsi in Italia tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo

 

Appendici

Documenti magisteriali

Motu proprio tra le sollecitudini del Sommo Pontefice Pio X sulla musica sacra 22 novembre 1903

Paolo Vescovo Servo dei Servi di Dio unitamente ai Padri del Sacro Concilio a perpetua memoria costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium 4 dicembre 1963

 

Tavole cronologiche

Cronologia dei principali testi sulla musica sacra apparsi in ambito cattolico romano tra il 1850 e il 1950 ca.

 

Bibliografia generale

 

Indice dei nomi

 

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PREFAZIONE

 

di don Gilberto Sessantini

 

« ‘‘Carneade! Chi era costui?’’ ruminava tra sè don Abbondio... ‘‘Carneade! questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?’’ ». Mi si perdoni l’accostamento, certo un poco irriverente nei confronti del Manzoni, ma l’incipit del capitolo VIII del Suo e nostro Romanzo, è stato il primo pensiero che ha sfiorato la mia mente leggendo l’incipit della Premessa che Michele Bosio ha ritenuto opportuno anteporre al suo elaborato studio su quell’argomento che sarebbe di così lapalissiana identificazione – la musica sacra, appunto – se non fosse che in molti si sono industriati a dirci che la ‘‘musica sacra’’ non esiste più, anzi che non è mai esistita. Perché tutto ciò che era considerata tale era mito, fantasia, idealizzazione romantica.

 

Ma a noi, uomini che questa musica sacra la praticano, questo concetto, col quale siamo cresciuti e che senza molto filosofeggiare ogni giorno viviamo, la bella e sana definizione di ‘‘musica sacra’’ rimaneva ben presente in qualche file recondito del nostro hard disk naturale. Magari, appunto come per il curato di Renzo e Lucia, solamente a livello di impressione mnemonica, dai contorni sfumati, ma con un’identità sua propria, coì come il filosofo greco appariva nell’affollarsi nebuloso dei pensieri di don Abbondio anche solo «un uomo di studio, un letteratone del tempo antico» senza giungere a ricordare i caratteri distintivi del suo pensiero filosofico (era uno scettico) e in qual tempo antico visse (il II sec. a.C.) o il motto con cui si è soliti sintetizzare (ma veramente è possibile un’operazione del genere?) il suo pensiero: tutte le cose sono incomprensibili ma non tutte sono non evidenti; con il famoso criterio: se non è vero è però probabile.

 

Giustamente, il libro che avete tra le mani afferma che « cercare di descrivere cosa sia realmente la "musica sacra" è compito assai arduo ». E il ‘‘giustamente’’ è riferito alla nostra contingenza storica, così liquida e relativistica, dove gli stessi fondamenti universali del pensiero e della realtà vengono sfigurati e sviliti. Figuriamoci un elemento così marginale come la musica da chiesa. Lo slittamento semantico cui abbiamo assistito (da musica sacra a musica per la liturgia) lungi dall’essere neutro ha finito per distruggere in sè stesse sia la musica che la liturgia. Il peccato originale, mi si permetta l’espressione, mi pare lo si possa scorgere nella ‘‘Settimana internazionale di Friburgo’’ (22-28 agosto 1965) avente come tema ‘‘Il canto nel rinnovamento liturgico’’, durante la quale diversi relatori, applicando alla liturgia e alla sua musica i principi della teologia della secolarizzazione, giunsero ad affermare che « Dopo Cristo ogni arte è fondamentalmente profana [e che] ogni musica integrata al culto, per il fatto stesso che può esercitarvi una funzione rituale diviene ‘‘sacra’’. Non vi sono più limiti, specificazioni, sacralizzazioni, se non quelli richiesti dalla funzionalità di ogni arte nella liturgia ».

 

Nella dialettica rinnovamento-tradizione con la quale ci si pose e si impostò il dibattito, chi perse la partita fu il buon senso e quanto il Vaticano II aveva disposto. Invano il noto liturgista Josef Andreas Jungmann, cui in quel convegno spettò la prima relazione, insistette nel « tornare ai principi » e alla prudenza conciliare che ammetteva innovazioni solo se dimostrate veramente utili, in modo tale che le « nuove forme risultino come uno sviluppo organico delle forme già esistenti per cui – concludeva Jungmann – per costruire l’avvenire occorre soltanto risfogliare la storia della liturgia ». Invano l’insigne gregorianista Jean Jeanneteau aveva insistito sul carattere esemplare del gregoriano per giungere ad una sintesi verbo-melodica anche nei nuovi canti nelle lingue nazionali e aveva ammonito a non chiudere con il gregoriano, perché « non è da questo abbandono che nascerebbe il rinnovamento desiderato ». Le loro e le posizioni degli altri ‘‘grandi vecchi’’ vennero tacciate come appartenenti a ‘‘buon senso cauteloso’’ e, nel contesto della discussione comune, apparivano velate di ‘‘un tono esoterico e insieme perentorio’’ e dettate dalle ‘‘ragioni del cuore che mal si adattano a misurarsi con la logica’’. Fu questa linea auto-distruttiva che prese il sopravvento. Esaltando le istanze innovatrici del Vaticano II, tali prese di posizione calpestavano il dettato conciliare stesso, reo di pagare lo scotto ad ‘‘esaltazioni romantiche’’ del concetto di musica sacra, del canto gregoriano e dell’organo. Il problema non è certo che a quel convegno si espressero queste opinioni, ma il fatto che queste opinioni sostituirono il Magistero e condizionarono la prassi.

 

Quella prassi che ci porta oggi, appunto, a chiederci se esista una musica sacra. Io sono tra coloro che ritengono essa esista. Infatti, comunque, la si voglia chiamare: ‘‘musica per la liturgia, musica liturgica, musica ecclesiastica, musica spirituale, musica religiosa, musica sacra...’’ la sostanza è che la Chiesa si è sempre sentita in diritto/dovere di ammettere o non ammettere nella sua liturgia musica e strumenti a seconda della rispondenza o meno al proprio ‘‘progetto rituale’’, marcando una linea di confine ben netta ed individuabile, che solo chi è in mala fede non può non vedere e accogliere come tale. Il libro di Bosio indaga proprio i confini che, da una parte i documenti ecclesiastici, dall’altra la riflessione dei musicologi, evidenziano. Ovvero: rendono evidenti. E quindi, tornando al nostro Carneade e al suo pensiero, possiamo dire che è almeno probabile che la musica sacra esista.

 

Di questa probabilità si è reso garante anche Joseph Ratzinger, uno dei teologi che più di altri ha affrontato l’argomento, molto prima di acceder al Soglio pontificio con il nome di Benedetto XVI. Già il fatto che nei suoi scritti Ratzinger osi ancora definire sacra una musica la dice lunga su quale siano gli intendimenti dell’Autore. Nel chiacchiericcio ecclesiale sostitutivo dei documenti conciliari la musica sacra non esisteva più: era divenuta, come abbiamo già detto, una più politicamente corretta ‘‘musica per la liturgia’’, a sottolineare l’esclusiva valenza d’uso che doveva assumere il codice musicale nella ritualità povera e dimessa che una sempre politicamente corretta interpretazione (ovviamente al ribasso) della riforma liturgica andava propinando e che già in un testo del 1974, il teologo Ratzinger stigmatizzava parlando dei « freddi brividi che incute l’ormai opaca liturgia postconciliare » e della « noia che essa suscita con il suo gusto del banale e con la sua mediocrità artistica ». È un giudizio assai severo ma, a quarant’anni da quando è stato emesso, ancora estremamente attuale. Purtroppo. Tutto nasce, per Ratzinger, dai fraintendimenti cui il dettato conciliare è stato sottoposto. Un esempio. Analizzando la voce ‘‘canto e musica’’ di un noto Dizionario di liturgia egli ne smonta l’impostazione, additandone gli errori ed i luoghi comuni, e soprattutto denunziando quella « concezione fondamentalmente nuova della liturgia con la quale si vuole superare il Concilio » che sta alla base di tale erronea impostazione: una liturgia non più opus Dei (opera di Dio), ma una liturgia opus hominum (opera degli uomini); non una liturgia che scende dall’alto come grazia santificante, ma una liturgia che muove dal basso, come elemento coagulante delle istanze antropologiche. Questa dimensione esclusivamente orizzontale ha ucciso la liturgia della Chiesa Cattolica. Da Pontefice [in occasione del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma il 15 giugno 2010, n.d.r.] ha affermato giustamente che « è necessario che nella liturgia emerga con chiarezza la dimensione trascendente, quella del Mistero, dell’incontro con il Divino, che illumina ed eleva anche quella ‘‘orizzontale’’, ossia il legame di comunione e di solidarietà che esiste fra quanti appartengono alla Chiesa. Infatti, quando prevale quest’ultima non si comprende pienamente la bellezza, la profondità e l’importanza del mistero celebrato ».

 

Ratzinger mette, inoltre, il dito nella piaga, additando la causa della crisi della musica sacra nella crisi della liturgia, e la crisi di questa in quella della fede e da ultimo in quello sprofondare della cultura occidentale nella ‘‘dittatura del relativismo’’ che sta triturando tutto e tutti. È quindi un discorso molto più ampio e che ha bisogno di soluzioni ad ampio raggio che tocchino la cultura, la fede, la liturgia ed infine le espressioni della liturgia, come appunto la musica sacra. Due, per lui, gli errori da evitare: ridurre la liturgia a qualche cosa da fare e ridurre la liturgia a qualcosa che si deve sempre e tutta capire. Concepire pragmaticamente la liturgia significa ridurre l’agire liturgico a qualcosa di immediatamente usufruibile e quindi ridurre l’apporto musicale a qualcosa di puramente funzionale al rito, facendo perdere il rimando all’‘‘oltre’’ che caratterizza l’apertura alla bellezza e conseguentemente al mistero. Concepire la liturgia solamente nel suo adeguarsi alle capacità recettive dell’uomo contemporaneo, e quindi ridurre l’apporto musicale del rito a qualcosa di puramente capibile significa privilegiare esclusivamente l’hodie (l’oggi) liturgico in senso cronologico e non secondo la categoria del kairòs, il tempo della grazia, che è nel tempo e nello stesso momento va oltre il tempo. Benedetto XVI ci ricorda invece che « La liturgia non è solo un agire comune, ma è per sua natura una ‘‘festa’’ e come festa essa vive dello splendore ed esige perciò la potenza trasfiguratrice dell’arte, anzi è l’autentico luogo di nascita dell’arte, dal quale essa riceve la sua necessità antropologica e la sua legittimazione religiosa... La musica sacra con pretese artistiche non contrasta con l’essenza della liturgia cristiana, ma è una forma necessaria d’espressione di fede nella magnificenza di Gesù Cristo la quale abbraccia tutto il mondo. La liturgia ha il compito stringente di svelare e di far risuonare la glorificazione di Dio, la quale è nascosta nel cosmo. Tale è dunque la natura della liturgia: trasporre il cosmo, spiritualizzarlo nel gesto dell’inno di lode, e coì redimendolo; ed umanizzare il mondo ».

 

C’è quindi una differenza di fondo che deve contraddistinguere la musica sacra dalla musica quotidiana e la liturgia secondo il Vaticano II da quella secondo ‘‘lo spirito del Vaticano II’’. E la differenza è data dalla capacità di apertura al trascendente. In parole povere: una musica sacra ed una liturgia che non dimentichino o nascondano la dimensione verticale privilegiando esclusivamente quella orizzontale; la liturgia della Chiesa, cioè, e non la liturgia di un gruppo. Lo scopo che Michele Bosio si è prefisso è quello « di occuparsi, di ciò che è stata ufficialmente la "musica sacra" della Chiesa di Roma per diversi secoli, in virtù di encicliche, decreti e documenti ufficiali che hanno portato alla formazione di un repertorio ‘‘autentico’’ ». Una fatica non da poco la sua. Il mio auspicio è che esso possa aiutare a comprendere ciò che la musica sacra ancora ‘‘è’’ e quindi come ‘‘dovrebbe essere’’ nella realtà del celebrare, oggi, la liturgia della Chiesa Cattolica. Una fatica immane, ma ineludibile.

 

don Gilberto SESSANTINI

(Organista e Maestro di Cappella del Duomo di Bergamo e Priore della Basilica di S. Maria Maggiore in Bergamo)

 

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